lunedì 14 aprile 2014

Ritorno al silenzio?


Oltre un mese di silenzio su questo diario di bordo digitale della mia esperienza ERASMUS in Germania. Forse avrei dovuto chiudere questo diario come si fa con un libro dopo averne portato a termine la lettura, solo per riporlo, chiuso agli occhi, sullo scaffale di una libreria, lontano dallo sguardo. Ma non me lo sono sentita per molteplici ragioni anche se, a ben vedere il mio è stato un silenzio circoscritto a questa piattaforma digitale; sorte diversa toccata al mio primo e vero amore-blog digitale: Ululati Solitari. Innanzitutto è bene contestualizzare il motivo del mio silenzio.

Qualche spiegazione
Il 28 febbraio si è conclusa ufficialmente e burocraticamente la mia esperienza ERASMUS nella bavarese Augsburg. In concomitanza con la fine della mia borsa ERASMUS anche il contratto del mio appartamento era giunto alla sua conclusione. Per vari motivi già a dicembre, mese in cui avrei potuto prolungare il mio contratto di mobilità, decisi di rimanere entro la soglia psicologica del semestre all'estero, lasciando cadere nel vuoto i termini e i bandi -ergo la modulistica- per il prolungamento.

Sopra a tutto una questione di necessità mi spinse a rifiutare di rimanere in Germania; un movente, questo, ricco di sfaccettature e di sfumature: in sostanza la mia stessa carriera universitaria, il mio senso di responsabilità potrei dire, mi spinse a tornare. In procinto dello scoccare del primo anno fuori corso e con soli due esami prima della laurea, avrei dovuto -e voluto- stringere i tempi il più possibile per rendere manifesto il conseguimento di questo fatidico "pezzo di carta". Su questa linea anche le piccole questioni burocratiche per la preparazione della tesi mi fecero propendere per non sforare quella che già ho definito come "soglia psicologica entro i sei mesi di ERASMUS".

Non meno impellente il bisogno di tornare a Casa. Il bisogno di rivedere dopo cinque mesi di Germania il mio paese, la mia regione, la mia città, la mia gatta Bloom, la mia cagnetta Baby. Ma soprattutto poter tornare a guardare dalla finestra di casa mia l'Adriatico, nel suo riverbero cristallino primaverile che si perde all'orizzonte, dopo gli scogli, verso un piccolo infinito luccicare di onde, verso la Croazia.

Forse sopra le persone i luoghi; quello sterminato stendersi di tetti così italiani, che nulla hanno a che vedere con le ripide spiovenze dei tetti bavaresi, così costruiti per far fronte a clima più rigido di quello mediterraneo - anche se, non poi così rigido come la vulgata lo dipinge.

Non mi sia dia dell'insensibile. Quello che mancava era per me il sentirsi stringere dalla morsa del paesaggio, un caldo e tiepido contatto, un abbraccio, prima del bacio della folla di persone che conosco e che mi sono lasciato alle spalle, conoscenti, amici, familiari.

In molti si sono stupiti della mia mancata depressione post-ERASMUS. Molti di loro non sanno che l'ho avuto in forma acuta ma altalenante già due mesi prima del mio ritorno, quando la prospettiva di dover stravolgere tutto nuovamente non sembrava così rosea e idilliaca. È durata poco, qualche settimana appena grigia, con notti appena insonni, mentre le giornate scorrevano in vista degli esami e tra la consolazione di voler godere il più possibile di questa esperienza. Il fasciarsi la testa prima della caduta è stata una mossa utile, involontaria si intende, ma indubbiamente utile: sono riuscito ad attutire il botto.

Il viaggio
Al contrario il mese subito precedente al mio ritorno, tacitamente fatto cadere sotto gli auspici del primo marzo, ma scrupolosamente tenuto segreto per fare una sorpresa a casa, il procedere tra scartoffie burocratiche per il ritorno, gli ultimi esami, le ultime prove, gli ultimi viaggi per la Baviera, è stato segnata da una febbrile emozione per il ritorno, tutta proiettata verso il momento in cui avrei finalmente rimesso piede in Italia dopo 5 mesi di totale assenza.

Un brivido di nostalgia mi ha fatto sentire un leggero senso di tristezza, nel momento in cui, procedendo con i saluti, presi commiato, l'ultima settimana, salutando di volta in volti piccoli gruppi, ristrette cerchie di persone, o singoli compagni. Ma si va avanti, senza problemi; un quadro più ampio deve essere completato. Tra gli ultimi saluti i miei coinquilini, in special modo A.W., che mi regala un suo libro con tanto di dedica per ricordarmi il periodo del mio soggiorno ad Augsburg: "L'alchimista" di Paulo Coelho.

Il "trasloco" si configura come l'ultimo ostacolo emotivo che mi separa dal ritorno a casa. Nei giorni subito precedenti alla partenza mi dedico alla prova della valigia, ossia verificare che tutto entri nell'unica valigia, zaino e tracollo che mi sono portato dall'Italia, e allo smontare e tirare a lucido la mia camera da letto, nonché il bagno, la cucina, il corridoio e la sala, almeno per lasciare alle mie spalle un ricordo "pulito", o forse, inconsciamente, per cercare di dissolvermi io stesso in quel mare di ricordi e sensazioni che ho provato durante tutta questa esperienza.

La sera del 28 febbraio la passo ultimando i preparativi e mi concedo un giro per la città dimodoché possa dire a me stesso di aver preso accomiato come si deve dalla città che mi ha ospitato in questi cinque lunghi mesi, passando anche a portare in giro i miei ultimi saluti.

Torno a casa poco dopo la mezzanotte, qualche ora di sonno e la sveglia arriva alle 3 della mattina. Tutto è pronto, i vestiti per l'indomani attendono sull'attaccapanni, non resta che riporre il notebook nella tracolla assieme a cavi e quant'altro.
Con somma fatica riesco a portare tutti miei bagagli -più una cassa di birre di Augsburg- dal terzo piano al pianterreno. Una fatica del diavolo fino alla fermata del 35, un ultimo sforzo e salgo sull'autobus dopo un quarto d'ora di attesa. Pochi minuti di viaggio e a Rotes Tor scendo per prendere il tram che andrà diretto sino alla stazione dei treni. Un piccolo saluto attraverso la città ancora addormentata, fatto di imprecazioni sottovoce mescendo insieme italiano e tedesco, tanto per dare un po' di enfasi a questo viaggio mentre mi trascino dietro un carrellino dell'IKEA, una valigia e la tracolla con dentro il portatile.

Arrivo alla stazione con largo anticipo. Aspetto. Il treno arriva con qualche minuto di anticipo, solo per ripartire con qualche minuto di ritardo, niente di esagerato, una decina di minuti, ma tanto quanto basta a farmi sudare freddo per i quaranta minuti di tragitto Augsburg-München, stazione in cui dovrò prendere il treno che mi porterà in Italia, sino a Verona Porta Nuova per la precisione. Arriviamo in tempo però.
Mi dirigo al binario segnalato trascinandomi dietro i miei bagagli solo per sentirmi dire da un'addetta delle ferrovie tedesche che il binario è stato cambiato, devo tornare indietro; alzo i tacchi, giro i bagagli e mi dirigo verso la nuova destinazione, senza lesinare in imprecazioni che hanno per oggetto i massimi sistemi universali.

Salgo sul treno riuscendo a lanciare dentro alla carrozza tutta la mia vita da studente ERASMUS in trasferta, lasciando andare qualche scurrilità strozzata dall'affanno. Trovo il vagone giusto e il posto della mia prenotazione, infilo la valigia sopra un portapacchi che non corrisponde al mio posto - ma chissene frega - visto che il vagone è già strapieno, e infilo il carrellino dell'IKEA praticamente tra le gambe di  una passeggera che sta dall'altra parte del mio vagone. Con i pacchi distribuiti a regola d'arte posso finalmente sedermi.
Problemi con turisti tedeschi diretti a Bolzano con un ingente carico di scii fanno partire il treno con qualche minuto di ritardo. Non ho fretta, in fondo viaggerò per 10 ore, tanto vale penderla con filosofia e non avere troppa fretta.

Riesco a parlare con la mia compagna di viaggio, una ragazza tedesca che scopro laureata e residente nella mia stessa Augsburg, anche lei ex studentessa ERASMUS ha trascorso un semestre in Spagna, adesso è diretta in Italia per incontrare delle amiche e visitare varie città, mi dice che incomincerà da Venezia.

Il tempo passa, il mio biglietto stampato viene obliterato di continuo dall'andirivieni dello stesso controllore mentre il treno supera la frontiera e vede mutare il proprio contenuto di persone in un eterogeneo meltin pot, con il procedere del viaggio molti tedeschi scendono per lasciare posto a un minor numero di italiani. Inizio a sentire l'emozione del viaggio, il passaggio verso l'Italia e tutti i piccoli segnali e sensazioni che può regalarmi quest'altra esperienza.

Arriviamo a Verona, scende la mia compagna di viaggio assieme a tutti gli altri passeggeri, attendo un attimo prima di raggruppare nuovamente i miei averi assieme ala coraggio di dirigermi attraverso un'altra stazione al binario giusto. Con somma fatica raggiungo il treno nel solito saliscendi di scale. Qualche minuto e il treno parte diretto alla stazione di Bologna. Ora siamo solo italiani, il treno attraversa piccoli paesi e una campagna sterminata. Mi sento a casa. Poco da l'idea della differenza fra campagna tedesca e campagna italiana, ma le forme delle case, i materiali rustici delle piccole stazioni di periferia in borghi anche a me sconosciuti, mi fanno sentire sulla lingua il sapore di casa e sulla pelle la brezza di un'aria che già in passato aveva accarezzato il mio corpo. Sono a casa.

Arrivo a Bologna nell'ora di punta, la stazione è gremita, una follia all'italiana. Come scendo dal treno già due prodi accattoni mi avvicinano per offrirmi il loro cavalleresco aiuto. Declino gentilmente sotto un mare di insistenze. Dopo vari girotondi mi stacco dal binario di arrivo e scendo con i miei bagagli via scala mobile. Percorro il tunnel sino alla segnalazione del mio binario sempre tenendo dietro tutti i miei bagagli, ivi inclusi notebook e le maledette e ingombranti sedici birre di Augsburg.

Ai piedi delle scale tento l'impossibile: arrampicarmi con tutti i bagagli, per non lasciarne qualcuno incustodito in quel denso fiume di folla uniforme che attraversa gli intestini della stazione centrale di Bologna, rischiando di far rovinare tutto a terra nell'umiliazione generale.
Dopo neppure un minuto di tentativi compaiono i due prodi cavalieri di cui sopra, pronti a offrirmi una spalla e quattro braccia per trasportare i bagagli. Contro ogni istinto logico, ma per una vena che affonda le sue radici nella più spietata e succube sopravvivenza, accetto.

Arriviamo in cima alla salita alla salita, cordialmente ascolto e neppure prendo in considerazione la loro richiesta di un compenso di dieci euro. Un euro per uno, è il massimo che voglio - e posso - offrire a quella sottospecie di aiuto che puzza di estorsione, ma giustificata dalla necessità di una condizione particolare. A malincuore prendono il denaro mentre mi prolungo in estemporanei ringraziamenti. Alla fine mi chiedono almeno una di quelle birre che mi hanno aiutato a portare, trattengo il doveroso "vaffanculo" e nego la preziosissima birra che mi sono portato dietro per quelle centinaia di chilometri tra Germania e Italia.

Vago per qualche minuto con le gambe tremanti per la stanchezza con tutti i miei averi stretti al corpo. Poco prima di giungere alla sezione di binario da cui dovrò, di li a mezz'ora, arrampicarmi per salire sul freccia bianca, mi trova davanti un ascensore che collega il piano binari con quello sottostante. Maledizione. La storia di come volarono i due euro peggio spesi della mia intera esistenza.
Arriva il freccia bianca. Salgo in coda al treno in prima classe dove c'è il mio posto prenotato. Non fate quelle facce, c'era una promozione, avrei pagato un posto in seconda classe tanto quanto uno in prima. Allora ho scelto la cosa più logica. Sul treno posiziono tutti i bagagli in modo che non diano fastidio a nessuno e difendo le mie birre da tre simpatici ragazzi di non so che parte d'Italia con qualche battuta mentre, per tutto il resto del viaggio, sino a Rimini, non hanno fatto altro che parlare di droga sventolando banconote e maledicendo al polizia. Parliamo un po', gli dico che non tornavo in Italia da cinque mesi e sembrano sciogliersi. Poco prima di scendere mi danno ancora il bentornato che suona come un ironico augurio e forse è davvero così; mentre in molti fuggono dall'Italia verso la Germania e non vedevo l'ora di fare la strada inversa dalla Germania all'Italia. Ma non importa, perché è quello che voglio io. E basta. Scendono tutti e tre avvolti nella loro spessa coltre di gioviale goliardia.
Il treno riparte. Mi sporgo per contare le birre. Ci sono tutte.

Il viaggio prosegue. Ecco l'Adriatico. Lo ammiro, lo assaporo sotto quel cielo di piombo che si stende su quei morosi di argento fuso. Casa.
Arrivo alla stazione di Ancona in perfetto orario ma perdo la breve coincidenza per Falconara Mma. Poco male. Con un biglietto dell'autobus e un quarto d'ora d'autobus ci arrivo in men che non si dica. Questo ultimo breve tratto lo faccio in piedi, schiena appoggiata a un palo e bagagli accatastati su un sedile. Di fronte a me ancora l'Adriatico. Erano cinque mesi che non vedevo il mare.

Arrivo alla fermata sotto una pioggerella insistente avvolto da un'umidità che non ha uguali nelle località marittime come la mia. Con i vestiti appiccicati addosso riesco a far scendere i bagagli con l'aiuto di un uomo di colore. Sono arrivato. Non posso non pensare a che impressione sia in grado di suscitare negli altri il mio aspetto, quel trascinarsi dietro un carrello dell'IKEA carico di birre come un perenne ubriaco; il mio barcollare sotto il peso delle valige e, infine, quella mia barba sfatta - anche se, per abitudine, la porto così.

Non importa. Sono a casa ormai. Cammino per le strade che non vedevo da cinque mesi, dalla fine di settembre, quando partii asciando tutto alle spalle, preoccupato ed emozionato dalla imminente partenza. Ora torno indietro, al porto da cui ero partito. Tutti è intatto, o quasi. Impalcature di case in ristrutturazione sono state rimosse, altri segnali sono stati aggiunti, altri spostati come un gruppetto di bidoni dell'immondizia e altre cose di ordine quotidiano.

Proprio vicino casa mi imbatto in mio fratello. Mentre armeggio con valige e carrello, lottando contro i due scalini davanti al portone di casa, i miei, di ritorno dalla spesa, parcheggiano davanti a me. Dall'emozione di mia madre capisco che la sorpresa non è stata rovinata, anzi, è riuscita in pieno. E che io mi sia potuto salvare, dato che non avevo le chiavi di casa.

Un proposito a mo' di arrivederci
Ecco dunque conclusa la mia esperienza, il mio spazio digitale, il mio diario di bordo in questa esperienza è giunto anch'esso alla fine del suo compito. Cosa resterà di queste pagine? Ancora non lo so. Per oltre un mese ho lasciato questo spazio in balia di se stesso e, ora mi trovo a scrivere ancora un post, forse l'ultimo; ho voluto parlare dell'ultima grande e importante esperienza che ho affrontato: il ritorno a casa. E ora? Sicuramente l'esperienza di Ululati Solitari continuerà. Ho anche intenzione di aprire un altro blog, tenendo presente l'esperienza di questo tipo di scrittura diaristica, senza per questo tradire l'altra esperienza di Ululati Solitari, ma indirizzato verso qualcos'altro. Ma di queste pagine che hanno a che fare con la Germania? Queste pagine resteranno sul web, dopo vari pensieri ho deciso di scansare la prima idea di sopprimere questo stesso blog, trasgredendo quello che era il mio proposito iniziale: quello di lasciare un vademecum, come un messaggio in una bottiglia, in balia del mare magnum del web. Queste pagine rimarranno; senza più aggiornamenti frequenti poiché non sono più in Germania, e per adesso non ho intenzione di tornare indietro. E ora? Morirà tutto, si spegneranno le luci? No, assolutamente. Vorrei che questo blog continuasse a comunicare qualcosa di più, oltre. Vorrei ora raccogliere le esperienze di quanti siano riusciti a raccogliere esperienze simili alle mie: vorrei pubblicare i pensieri, le immagini, le idea e anche i sentimenti di quanti siano stati in Germania come. Per chi vorrà inviare un piccolo estratto provvederemo alla sua pubblicazione su queste stesse pagine digitali, trascendendo il diario di bordo per farne un'enciclopedia, per fare di un singolo ululato solitario, l'ululato di un branco.

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